La Giusta Cura: seconda Lettera aperta di un imprenditore umbro

Fiori nella neve
Egregio Presidente,

Le ho scritto una prima lettera aperta per esprimere il mio disagio e le mie aspettative di imprenditore. Con i giorni che passano, osservando il suo operato, che apprezzo, ho deciso di scriverle una seconda volta, per entrare più nel merito, sempre sulla linea “della verità e della trasparenza”, da lei scelta e da me condivisa.
Se la via intrapresa è quella giusta, constato ancora una differenza tra le intenzioni, i proclami televisivi e la loro traduzione pratica nella realtà, nella vita quotidiana delle imprese, c’è ancora molto da fare e non bisogna, come sul lato sanitario, assolutamente mollare adesso.
Si è interrotto ormai da tempo un costruttivo dialogo tra ai vertici e la base, meccanismo indispensabile in una democrazia degna di questo nome, delegato a soggetti intermedi che non hanno saputo colmare tale distanza e rappresentare i nostri bisogni.
E’ essenziale tornare a parlarci, con la fiducia di essere ascoltati, perché ognuno possa capire il punto di vista dell’altro, per uscire dalla terribile sensazione di vivere su due mondi paralleli, per eliminare lo sgomento che ci  invade nell’osservare come spesso, le  decisioni prese a tavolino rimangano poi lettera morta,  dissolvendo i loro auspicati effetti nel  percorso verso la vita reale.

In un momento così cruciale, bisogna ripartire dagli elementi più semplici, più “banali”, che  impattano non solo sugli aspetti economici, ma anche sui nostri pensieri quotidiani, sui nostri umori, sulla nostra dignità di imprese e di esseri umani, oggi più che mai.
Quelle “piccole cose” di cui lei, per il solo fatto di essere stato investito di un certo ruolo, non è scontato che ne sia, pienamente conoscenza. Per conoscere le cose bisogna viverle o almeno avere la voglia di conoscerle veramente.

Facendo un parallelismo tra la situazione sanitaria e quella economica è chiaro che le imprese, come i cittadini, vivono diverse situazioni: c’è chi o asintomatico (e che addirittura ha dei vantaggi dall’emergenza) chi è malato con sintomi lievi, chi deve essere ricoverato in ospedale, chi ha bisogno della terapia intensiva, di essere intubato subito per non morire.

La priorità, va ovviamente data a tale ultima categoria, composta non solo, ma in gran parte, da piccole imprese, che basano la loro esistenza sugli incassi quotidiani, e che, a causa dei costi a cui sono sottoposte, non hanno riserve accumulate per sostenere situazione di emergenza, per cui, se manca improvvisamente l’”ossigeno”,  vanno subito in affanno.
Sono molte, e rischiano di attivare con la loro contaminazione, un meccanismo tanto semplice quanto pericoloso, a lei ben noto seppur in questi giorni poco approfondito.

Se muoiono, da un lato cancellano posti di lavoro che vanno a gravare sugli ammortizzatori sociali in modo rilevante, dall’altro arrestano la produzione di ricchezza e quindi il corrispondente gettito fiscale con un impatto globale sulla spesa pubblica che finanzia sia gli stessi ammortizzatori sociali che i servizi, gli stipendi pubblici, le pensioni, gli investimenti…
Se sono vive ma molto malate, per la paura di morire, interrompono i pagamenti da onorare, che rimangono anche in tale fase molti, (fornitori, bollette, abbonamenti, riba per investimenti, etc) spesso diretti ad altre piccole imprese, che a loro volta vanno in difficoltà rispetto ai loro fornitori:  il virus economico si trasmette a tutti gli anelli della catena ad una velocità superiore a quanto si possa immaginare con conseguente contrazione generale della capacità di spesa e di consumo di una fascia rilevante della popolazione e quindi della sopravvivenza di altre imprese e via dicendo…

L’esito non è fantascienza, lo conosciamo, ha interessato un paese a noi molto vicino, membro della stessa Unione Europea, per motivi e circostanze sicuramente meno complesse.
Sempre con il dovuto ottimismo ma anche con  lucida consapevolezza,  il messaggio che ci dobbiamo dare è chiaro: le imprese vanno salvate, non solo per il valore della loro vita in se, ma per il ruolo centrale di perno dell’intero meccanismo economico che rappresentano.
E per salvarle, essendo la malattia insidiosa, ci vuole una cura adeguata, fatta di un percorso di guarigione ben definito con le sue priorità: salvare la vita, curare la malattia, riportare alla piena forma,  prevenire.

Ci vuole un “protocollo medico” con precise linee guida:

La velocità.
Più tempo passa e più saranno le vittime e li non si potrà più intervenire. Non si può “fare una cosa alla volta”, le cose vanno fatte purtroppo insieme. C’è un ministro della sanità che si occupa di sanità e un ministro dell’economia e ad entrambi è richiesto di andare molto veloci.

La semplificazione.
Per andare veloci dobbiamo semplificare, abbandonare i vecchi metodi e adeguarci all’eccezionalità del momento senza indugi.
E’ il momento per dimostrare a noi stessi che si può andare oltre la elefantiaca burocrazia che ci soffoca e definire procedure dirette stato-impresa.

La chiarezza sui tempi e gli effetti.
Avere un quadro di riferimento chiaro è fondamentale.
Il fatto che il virus sia entrato nelle nostre vite, modificandole, con grande velocità ha creato l’illusione in molti di noi, che se ne possa andare altrettanto velocemente.
Sappiamo che non sarà cosi.
L’impatto economico andrà ben oltre la fine delle restrizioni con una coda che nelle più ottimistiche delle previsioni durerà mesi o forse anni prima di tornare alla “normalità”.
Conviene “metterci l’anima in pace” in senso positivo e accettare che la agognata ripresa delle attività non sarà una “fine” ma “l’inizio” di un calvario molto impegnativo, la prima tappa di un percorso che probabilmente troveremo diverso da quello che conoscevamo, con nuove regole, nuove abitudini, nuove percezioni…
Non tornerà tutto come prima, è già tutto molto diverso e siamo solo all’inizio.
Non abbiamo alternativa, se non vogliamo fare la fine dei dinosauri, dobbiamo predisporci ad un  cambiamento di cui non conosciamo ancora ne i contorni, ne gli esiti ma che siamo obbligati sin da oggi ad immaginare. Non servono quindi misure a breve termine, e aiuti a pioggia.
Leniscono in parte il dolore, ma non curano. Servono cure  coerenti con i tempi e gli effetti della malattia.

La pianificazione e la certezza.
Se i tempi sono lunghi e gli impatti importanti non si può continuare a navigare a vista, a singhiozzo, bisogna pianificare per dare fiducia al malato.
Solo con la fiducia e la percezione del futuro troverà la forza e la motivazione di reagire, non abbandonarsi e guarire. Ci vuole certezza, tanto più se intorno regna l’incertezza. Non è facile lo so, ma anche lei sa che nell’incertezza, l’arte del politico è ridurla, avere una visione e dare, nei limiti del possibile, certezze.
Ci vuole un piano a breve, medio e lungo termine che disegni da subito, oggi, il percorso e non un’azione rinnovabile a 10 giorni…
Ci vuole un piano A, se l’emergenza finisce a breve, un piano B se dura più a lungo e un Piano C se dovesse tornare.
Un  piano con varie ipotesi confrontabili e adattabili alla realtà e alla sua evoluzione. Un piano sul quale anche le imprese possano iniziare ad immaginare scenari possibili, seppur condizionati, possano iniziare ad organizzarsi Lo ha annunciato ed enunciato, è ormai  il tempo di definirlo e condividerlo.
La cura, per ogni malato si può definire partendo dai sui “dati clinici”  (dai bilanci a seguire) che ben conosciamo, che sono “affidabili” nel momento in cui dobbiamo pagare le tasse, non vedo perché non dovrebbero esserlo ora che le parti si sono rovesciate, abbiamo tutti gli elementi per valutare.

Supporto allo sviluppo e non assistenzialismo.
Le misure assistenziali possono essere transitorie ma non strutturali, inibiscono la reazione e gonfiano i costi.
Bisogna stimolare la naturale propensione al rischio e alla dinamica delle nostre imprese sciogliendo i lacci reali e motivazionali che le frenano, fornendogli gli  strumenti per tornare a liberare le loro naturali energie.
Sono le imprese che devono pagare gli stipendi con i loro fatturati, non lo Stato con la cassa integrazione. Non si chiedono regali, ma equità e un contesto almeno vivibile se non competitivo.

Coraggio.
Ci vuole coraggio.
Quando la situazione è grave se ne esce solo con il coraggio.
Non si deve avere paura del “se” e del “poi” di perdere gettito o di chi potrebbe fare il furbo, bisogna prendere il toro per le corna e dare l’esempio, andando oltre la contingenza, con una visione che permetta di fare la cosa giusta perché è solo quella la via da seguire.

Passando dai protocolli medici alla cure concrete, alle “medicine” ormai molti di noi sanno quelle che potrebbero funzionare, a seconda del livello di infezione:

Per salvare i malati gravi:
1) Immettere  liquidità come terapia intensiva, dare subito ossigeno, con erogazione diretta (non intermediata dalle banche) da parte dello stato  sui conti correnti delle aziende sulla base di parametri definiti (es: fatturato periodo nell’anno anno precedente, perdite certificate  di periodo) e utilizzando per settori gli organismi dello stato come già accaduto
La  liquidità è quella che abbiamo perso azzerando i fatturati per chiusura forzata.
Un prestito, anche a condizioni vantaggiose e senza valutazioni,  va restituito e rappresenta per chi lo contrae un ulteriore costo e appesantimento in una situazione precaria, in cui ha la certezza di aver già perso risorse e l’incertezza di poter tornare a guadagnarle. Non sono lo stesso tipo di “liquidità”.
Ci vuole una compensazione alle reali perdite subite, ovviamente parziale, sostenibile rospetto alla risorse disponibili, ma che sia chiaramente non rimborsabile
2) Bloccare la  tassazione in tutte le sue forme per un periodo congruente con la durate e l’impatto, almeno fino a fine anno, allungare i periodi di rateizzazione attivi;
3)  Bloccare i  mutui fino a fine anno, il 30-09 è un lasso di tempo troppo breve perché si possa essere usciti dalla malattia
4) Estendere la cassa integrazione inclusa quella in deroga per il periodo necessario alla ripresa
5) Creare dei fondi dedicati ad aziende e settori  strategici (es. turismo e cultura, agroalimentare) che non possiamo perdere in nessun modo.

Per guarire dalla  malattia:
1) Garantire i mutui bancari a breve, medio e lungo termine con parametri da voi definiti e in deroga ai classici parametri bancari.
Deve rimanere una valutazione di merito oltre i 25.000 euro, ma adeguata alla situazione eccezionale, per non limitare alle sole aziende più virtuose l’intervento, accentuando il gap esistente e rendendo la misura del tutto inefficace
2) attivare Voucher e crediti d’imposta a favore di cittadini per l’acquisto dal made in Italy in tutte le sue forme per rilanciare i consumi e la domanda interna
3) Attivare azioni di promozione e protezione straordinaria del made in Italy nel mondo per ripristinare l’immagine e la fiducia del brand Italia compromesso dal virus.

Per tornare in piena forma e prevenire.
Dobbiamo cogliere l’occasione per attivare azioni che riportino il paese, e il sistema imprese, con gradualità ma visione chiara,   in piena forma:
1) definire un piano di Sviluppo a medio e lungo termine che affronti i nodi strutturali della nostra competitività  che lei conosce bene, dalla  riduzione della pressione fiscale, alla semplificazione delle procedure operative economiche a tutti i livelli, dalla definizione di un piano di sviluppo del sistema imprese, alla ripresa dei grandi investimenti pubblici, dalla razionalizzazione dei costi allo smart working, dall’investimento massiccio su scuola, università ricerca, innovazione e cultura come base essenziale di una rinascita culturale e poi economico sociale solo per citarne alcune ormai da tempo non solo trascurate ma spesso addirittura escluse dalle priorità e dalla stesso dibattito politico
2) Non scordare mai  la lezione e la vera priorità, lo sviluppo deve avere un motivo ispiratore essenziale: Ambiente e Salute.
Deve essere sostenibile a tutti i costi, perché la salute dei cittadini e la distruzione di questo meraviglioso mondo sono la vera emergenza che non ci dobbiamo scordare con una pacca sulla spalla una volta finita l’emergenza.
Non è solo una battaglia nostra ma di tutti, siamo riusciti in tale fase a creare dei modelli, a dare l’esempio, continuiamo a farlo senza fermarci,  perché il malato una volta ristabilito  riprenda a correre felice e non si riammali, perché un giorno i nostri figli possano ricordare come lontani “i tempi del corona virus”.
Negli ultimi giorni ho assistito ad una “gara” per identificare e stanziare le fonti finanziare necessarie a questa grande impresa, a cui tutti hanno partecipato oltre a voi:  le Regioni con il recupero dei fondi UE non spesi, la Commissione Europea con Sure e altri interventi puntuali, la Banca Centrale Europea, la Banca Europea degli Investimenti , il Fondo Monetario internazionale.
Un tam tam impressionante e “rassicurante” di cifre a più zeri.
Facciamole arrivare ai destinatari finali, trasformiamo anche queste da numeri in strumenti concreti,  che rendano veramente migliore la nostra vita, in fondo.. sono risorse che proprio noi, imprese e cittadini abbiamo anticipato perché se ne facesse il miglior uso.
Lo so Presidente il protocollo è impegnativo, il percorso è lungo, i medicinali costosi… ma le domando: ci sono alternative?
Non possiamo mollare adesso, ai  miracoli, anche economici in fondo ci siamo già abituati, ci sono riusciti i nostri nonni… animati dagli stessi valori possiamo forse  riuscirci anche noi.

Francesco Micci

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