"L'indignazione e la rabbia": nuova lettera aperta di un imprenditore umbro al presidente del consiglio Giuseppe Conte

Egregio Presidente

Le avevo scritto esattamente un mese fa con due sentimenti nel cuore, un forte senso di solitudine ma anche di speranza, di fiducia nel fatto che, da una tragedia potesse emergere una nuova rinascita.
In periodo di covid un mese è un periodo lungo, per molte piccole aziende un periodo lunghissimo, in cui ogni giorno tornano a pesare le stesse preoccupazioni e se ne aggiungono sempre di nuove: i tuoi dipendenti ti chiamano perché non hanno ricevuto la cassa integrazione e la disperazione inizia ad insinuarsi nei loro pensieri, i fornitori ti chiamano per ricevere il pagamento rimasto indietro e non ce la fanno più, anche tu inizi a dubitare, ce la farò?
Ogni giorno che passa, per le piccole imprese, per le famiglie, per ogni individuo che non goda di uno stato privilegiato, si vede avvicinare lo spettro del fallimento.
Il fallimento dell’”essere impresa” in cui ci siamo identificati per una vita e che non è solo qualcosa di economico, di materiale, ma di molto più profondo, di esistenziale.
Il fallimento anche del nostro dipendente, del padre di famiglia che ha paura di non essere “più in grado” di dare sussistenza ai propri figli.
La sfida, il rischio e il fallimento sono parte della vita, in particolare della vita di un imprenditore che non può esimersi dall’avere e da mostrare coraggio, specialmente nei momenti difficili.
Sono l’energia, la ninfa vitale, lo stesso sale della vita, dove l’arte è proprio quella di cadere e di sapersi, dopo aver pulito la giacca sporca di terra, rialzarsi più forti di prima.

La resilienza, la lotta ci lavano interiormente, ci fanno evolvere, ci stimolano a trovare le soluzioni migliori… a diventare migliori.
Nel percorso della vita, che a volte diventa competizione, a volte mano tesa, “i virus” sono i momenti più difficili ma anche quelli più belli da ricordare, perché se te li ricordi, vuol dire che ce l’hai fatta…
Ma perché ciò accada il confronto deve essere equo, le regole del gioco chiare, l’orizzonte definito, altrimenti non si è difronte a una sfida ma ad una schiavitù… che non ha niente a che vedere con i nobili stimoli a cui facevo riferimento.
Un uomo con le catene, un uomo dietro le sbarre non può competere, non può risorgere se non nel suo intimo, valore inestimabile, ma che forse mai nessuno potrà conoscere e a cui potrà ispirarsi.
Non si può fallire per legge, per DPCM, perché si è impediti di agire, si è impediti di essere ciò che siamo.
Si può fallire perché non siamo in grado di stare sul mercato ma non così!
E’ una sofferenza troppo grande… che ti logora in silenzio!
Non è giusto!
Presidente, un mese fa mi aveva risuonato la sua frase “Nessuna impresa chiuderà, nessuno perderà il lavoro” e mi aveva ispirato la mia prima lettera.
Purtroppo molte imprese hanno già chiuso, molte persone hanno perso il loro posto di lavoro e molte ancora sono solo momentaneamente parcheggiate nel “limbo” della cassa integrazione, in attesa di fare la stessa fine.
Ogni giorno che passa, inesorabile, chiudono nuove imprese e soprattutto ogni giorno nuovi imprenditori decidono, ormai sfiduciati di non riaprire più, trascinando in questa morte dipendenti, famiglia, fornitori, indotto.
E lo fanno perché non vedono una prospettiva.

E’ una morte silenziosa, “senza funerali” senza persone care, con il camion dell’esercito che porta via la bara di notte, perché quella che poteva diventare solidarietà è diventate in realtà un “si salvi chi può”.
E’ una morte che si consuma in silenzio, senza rumore se non quello flebile del rintoccare delle lacrime interiori di chi la subisce, senza che nessuno se ne accorga, con il tempo che scorre inesorabile e l’ossigeno che finisce o non basta per tutti!
Come negli ospedali anche nelle imprese si consuma la stessa tragedia, ormai diventata normale, è tutto diventato “normale”.
Anche questa volta ai proclami del palcoscenico non abbiamo fatto seguire i fatti, non siamo riusciti a trasformare i principi astratti in azioni concrete. Non ancora purtroppo.

Aveva promesso di farlo e non lo ha fatto.

Lo so che non dipende solo da lei ma questo è il vostro ruolo, ed ammettere, ci mancherebbe, che è difficile, e lo sappiamo tutti che è difficile, non giustifica il riemergere tanto sgradito, quanto implacabile delle solite logiche, dei soliti “clichè” che ormai ripetitivi accompagnano la nostra vita da anni.
Il 26 aprile dopo un mese e mezzo di lockdown economico molte domande per i 600 euro sono ancora in attesa di “valutazione” e lei ci dice che dobbiamo “capire” l’INPS perché ha avuto molte domande.
Le banche non hanno nessuna fretta, anzi, lavorano in smart working con 2 dipendenti su 6 e quindi con stress e difficoltà, spesso non rispondono al telefono e incontrano i clienti solo su appuntamento.
Peccato che sono loro i soggetti da voi deputati a “salvare” le aziende immettendo “liquidità immediata”.
Non hanno nemmeno iniziato in molti casi ad analizzare le richieste per i 25.000 euro che per molte imprese sono l’ultimo salvagente, lontano dalla riva, da rincorrere per non affogare, contraendo, con l’acqua alla gola un ulteriore debito…

Questa “liquidità” se mai arriverà, quando le banche potranno o lo riterranno opportuno, con i modi, le regole e i parametri tipici di un soggetto privato orientato al profitto, rappresenterà “liquidità” forse solo per loro… ma le dobbiamo capire.
I miei dipendenti mi chiamano per sapere quando arriverà la cassa integrazione, e il mio consulente mi dice che forse ci vorranno mesi e io non ho il coraggio di chiamarli per dirglielo.
E lei mi dice che dobbiamo capire perché le regioni devono inviarvi i dati, altrimenti non potete erogare, loro non ve li inviano, (chissà perché), e voi non li pretendete con urgenza…

Ogni giorno che passa per un padre di famiglia, per una persona sola a cui continuano ad arrivare le bollette, l’affitto, che deve fare la spesa con i prezzi aumentati, perché c’è sempre spazio per speculare, pesa come un macigno, ma anche lui deve capire…

Dobbiamo capire che siamo un “modello” a cui gli altri si ispirano con 26.000 morti di cui oltre 150 medici.
Dobbiamo capire che abbiamo ottenuto “un successo in Europa” con una dichiarazione di principio, che nel migliore dei casi entrerà in vigore concretamente tra mesi.
Dobbiamo capire che al 26 aprile state ancora “pensando” a possibili misure per supportare il turismo… (non immagino quando pensate di crearle e poi di attuarle) senza farlo riaprire ma intanto riparte la seria A, un settore “prioritario”.
Sicuramente in termini di interessi lo è ma forse anche il turismo, se vogliamo parlare anche solo di interessi “veri” in termini di fatturati e posti di lavoro non lo è?
O le è più la serie A? me lo dica lei!
Ma perché dobbiamo capire e accettare questa cronica inefficienza e far morire magari anche felici le nostre imprese immolate sull’altare dell’ “unità nazionale”…?
Perché?
Io non riesco a capirlo.

Facciamo arrivare le risorse ai destinatari finali, trasformiamole da numeri in strumenti concreti che rendano veramente migliore la nostra vita, in fondo sono risorse che proprio noi, imprese e cittadini abbiamo anticipato perché se ne facesse il miglior uso…
Capisco che si può sbagliare sui risultati ma non sulle intenzioni, sulle volontà: le cose vanno fatte con profonda onestà, senza barare.

Egregio presidente non possiamo continuare ad ignorare questo “bagno di sangue” che è già presente e che si configura in modo chiaro e inesorabile come un mare di sangue, da cui tutti, anche lei, verremo travolti se non cambiamo velocemente la rotta.
Non ogni giorno, ma ogni ora, ogni minuto diventa prezioso quando il mare è in tempesta.
Ci vuole certezza, tanto più se intorno regna l’incertezza.
Non è facile lo so, ma anche lei sa che nell’incertezza, l’arte del politico è ridurla, nella bufera, l’arte del capitano è dare una direzione, avere una visione, l’alternativa è il naufragio e non c’è spazio per le scuse è le giustificazioni…

Ci vogliono piani a medio e lungo termine, condizionati all’evolversi di fatti è ovvio, ma piani, non decisioni da qui a 15 giorni, tanto più se si pagano, con i soldi dei cittadini e delle imprese stremati, fior di comitati di esperti che non decidono o che diventano la scusa per non decidere…
Il virus non se ne andrà a breve dobbiamo imparare a conviverci ed affrontarlo con regole e rigore nel nostro quotidiano, tutti insieme e con pari opportunità, consapevoli, attenti ma anche liberi.
Non è solo una questione di economia, di sussistenza ma anche di dignità di rispetto, non possiamo rimanere in catene senza che ci sia una giusta ed equa sentenza…
Rialziamo la testa, togliamoci questa ormai carnevalesca maschera.
Mostriamo la faccia, mettiamoci tutti la faccia, per dirci che questa non è la via “della verità e della trasparenza” e che così non si va da nessuna parte.
Non si può “scherzare” con la vita di milioni di imprese e di posti di lavoro.
Sappiamo bene che nessuno ha la sfera di cristallo ma anche che non si può spremere l’arancia fino a lacerane la buccia perché non c’è più succo, non c’è più sudore sulla fronte, non c’è più sangue nelle vene.

E allora c’è spazio solo per l’indignazione e la rabbia.

Un’altra frase ci aveva detto a inizio marzo l’ha ripetuta il 26 aprile “non vi lasceremo soli”.
Non so quale significato lei dia alle parole.
Non so se lei è mai entrato in una piccola impresa e ne conosce i valori, le dinamiche e i bisogni per poter affermare di sapere cosa serve per non “lasciarla sola”.
Per saperlo bisogna as
coltarla, conoscerla o almeno averne la volontà.
Il mio sogno, un mese fa, era di pote
r sostituire la solitudine con la fiducia, la forza, lo spirito di squadra, di poter sostituire alla preoccupazione la fede, la salutavo con San Francesco “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.” (Francesco D’Assisi).

Non siamo riusciti a fare ancora il necessario e non lo dico per facile cinismo ma per sano realismo perché descrivo ciò che vivo e ciò che vedo ogni giorno.
Ma niente è perduto!
Ancora la nave è in tempesta, è il momento di coltivare il sogno, ognuno di noi senza delegare, iniziare a tagliare le catene e parlare, aiutare anche lei Presidente a capire, seguendo l’esempio di qualcuno che non ha criticato, ma ha fatto e che, a pieno titolo, ci ha insegnato “Ho coltivato l’ideale di una società democratica e libera, in cui tutte le persone vivono insieme in armonia e con pari opportunità. È un ideale che spero di vivere e realizzare.
Tuttavia, se necessario, è un ideale per cui sono disposto a morire.” (Nelson Mandela)

Francesco Micci



Commenti